Dalla fine degli anni ’90 le maggiori banche italiane ed estere hanno proposto e venduto su larga scala contratti derivati di tipo “IRS” o “Swap” caratterizzati da strutture altamente complesse, tali da creare ingenti perdite nei bilanci dei clienti. In alcuni casi, le perdite subìte dai derivati sono state la causa del loro fallimento. Abbiamo riscontrato che numerose banche che hanno venduto derivati ufficialmente classificati come “vanilla” e quindi con l’obiettivo “di pura copertura” (parliamo in particolare di Interest Rate Swap “fisso contro variabile”, di Interest Rate Cap o di swap di copertura sui tassi di cambio), in pratica non rispettavano i requisiti di legge e regolamentari in materia di trasparenza e di buona condotta da parte dell’intermediario, facendo sì che il contratto diventasse di natura speculativa.
Concretamente, parliamo di vizi essenziali che spaziano dalla mancata sottoscrizione del contratto quadro prima della stipula del derivato, all’imputazione di costi occulti non dichiarati nel contratto, alla mancanza del debito sottostante di pari importo, di pari durata ed ammortamento, per concludere con la mancata rappresentazione del mark to market del derivato al momento della stipula.
La Delibera Consob n. 11522/1998, oggi sostituita dalla Delibera n.16190/2007, stabilisce l’obbligo per gli intermediari di fornire ai clienti le informazioni relative a tutti i costi e/o commissioni incorporate negli strumenti finanziari. Quest’obbligo, tuttavia, è stato largamente disatteso in fase di vendita di molti strumenti finanziari ed in particolar modo di contratti derivati. La recente sentenza n. 21830/2021 della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, arrivata a distanza di un anno dalla precedente sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n.8770/2020 che riguardava gli enti locali, non solo conferma la tendenza positiva del panorama giuridico nei confronti degli investitori che hanno subito perdite illegittime a causa dei derivati, ma afferma come – anche per quanto riguarda le aziende – la stipula di un contratto derivato debba inderogabilmente sottostare a determinati parametri, pena la nullità immediata dello stesso.
Ad oggi un contratto derivato risulta sempre nullo qualora si verifichino le seguenti inadempienze:
Mancata indicazione dei costi impliciti alla stipula: un contratto IRS è gravato da costi impliciti qualora al momento della stipula non abbia un valore iniziale pari a zero, bensì negativo per il cliente, senza che a fronte di tale elemento economico negativo fosse stata prevista in favore del cliente una somma di pari ammontare così da riequilibrare il contratto stesso.
La mancata indicazione del metodo matematico utilizzato per il calcolo del Mark to Market (o MTM): Posto – infatti – che il MTM del Derivato per definizione non può essere determinato, in quanto si tratta di valori attesi, esso deve essere quantomeno determinabile. Perché ciò avvenga, è necessario esplicitare la sua metodologia di calcolo dal momento che, a seconda della formula utilizzata, anche gli importi generati possono variare sensibilmente.
Incoerenza tra pagamenti del derivato e del debito sottostante: nel caso in cui non sussista una correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie dello strumento finanziario derivato (importo di riferimento, parametro indicizzazione cedole periodiche, periodicità dei pagamenti) e le caratteristiche tecnico-finanziarie del presunto debito oggetto della copertura (importo di riferimento, parametro indicizzazione quote interessi, periodicità dei pagamenti), il contratto derivato non può considerarsi avere una finalità di “copertura”, ma contrariamente “meramente speculativa”.
Mancanza di un contratto quadro validamente perfezionato: tale circostanza integra la radicale nullità del predetto accordo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 TUF, per difetto di forma scritta e, quindi, di tutte le operazioni poste in essere nell’ambito di operatività del medesimo contratto.
Mifid e profilazione non adeguata: quando uno strumento finanziario come un derivato IRS non risulta adeguato, ovvero non è in linea con le competenze patrimoniali, finanziarie e conoscitive del cliente o anche nel caso in cui venga proposto da parte dell’intermediario, quando non è realmente possibile effettuare una corretta e completa valutazione e quindi l’IRS non corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente e non sia economicamente sopportabile, ci troviamo di fronte ad un’inadempienza, volontaria o involontaria che sia, da parte della banca. Questa tipologia di informazioni deve essere presente anche nel questionario obbligatorio che viene sottoposto secondo la direttiva MIFID (Markets in Financial Instruments Directive), la direttiva europea a tutela degli investitori.
Assenza della clausola di recesso (ART. 30, C. 7, D.LGS. 58/1998)
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